Ci sono pochi scrittori che hanno l'incomparabile virtù di riempire le idee più profonde con simboli e immagini brillanti che collegano le idee più profonde come l'oreficeria letteraria leggera. Manuel Rivas È uno di loro. E capita spesso che questi autori si dedichino fruttuosamente alla storia ancor più che al romanzo. Così, i casi di cantastorie della mia terra come Patrizia Stefano u Oscar Sipan, per confrontare tra la chiusura.
Sarà qualcosa che l'incontro con quell'ispirazione verso la sintesi più feconda può essere estenuante. Inavvicinabile costruire una storia così estesa e carica di quella potenza sensoriale. O forse è perché il brief facilita quel compito di sintesi magica in sintonia con la limitatezza formale della materia.
Comunque sia, il punto è che ancora una volta ci troviamo di fronte a una di quelle attese novità di Manuel Rivas, con la sua armonia metafisica da un esistenzialismo a tratti crudo, sempre malinconico e in fondo tremendamente umano.
Vivere senza permesso e altre storie d'occidente ci avvicina a quell'occidente spagnolo, culla dell'autore, a quella Galizia in cui finisce il mondo, come già sapevano ciecamente i romani prima di sapere, più certamente, che il mondo continuava al di là dell'oceano.
E con quel tocco di idiosincrasia galiziana passiamo attraverso le narrazioni di La paura dei ricci, Vivere senza permesso e Sagrado Mar. Tre romanzi brevi che recuperano vecchi peccati delle coste galiziane trasformate in ormeggi di destinazioni perdute; Destinazioni consegnate ai mercati neri dove la vita finisce per oscurarsi e dove ogni ricerca di libertà è vincolata dall'ingiustizia e dalla violenza, incrociando un sentiero più brusco che sale tra le rupi verso quello stesso luogo dove tutto finisce, come sapevano ciecamente i romani...
Un volume che trasuda quella maggiore autenticità di finzione dalla vicinanza dell'autore. Alcune storie che descrivono in dettaglio vite specifiche ma che ci espongono tutti ai dubbi più sinceri su cosa possiamo fare con noi stessi quando il nostro destino sembra dirigersi verso la perdizione in una qualsiasi delle sue rappresentazioni, che si tratti di colpa, crepacuore, sradicamento o altri effetti collaterali di la droga vivente.
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