Per chi mi aspetta seduto al buio, di Antonio Lobo Antunes

L'oblio ha la delicatezza di dimenticare anche il proprio riflesso come meccanismo di difesa, dove si declamano quella sorta di soliloqui simulati come pensieri che vengono trasmessi alla nostra riflessione. Questa è l'interpretazione più difficile davanti al nostro sguardo curioso. Può essere che si tratti di quello, una cancellazione necessaria per poterci guardare senza un briciolo di rimorso o senso di colpa, altrimenti capace di ucciderci in vita.

Una vecchia attrice teatrale in pensione è in convalescenza nel letto di un appartamento di Lisbona. L'Alzheimer progredisce senza sosta e il tuo corpo ammette la sconfitta, mentre la tua mente cerca di sopravvivere al ritmo degli ultimi sussulti caotici della memoria. Sono ricordi che riaffiorano, dispersi, eterogenei, frammenti ai quali si aggrappa per coprire la sua coscienza alterata: episodi della sua infanzia in Algarve, momenti di tenerezza e felicità con i genitori, le piccole e grandi miserie dei successivi matrimoni e le umiliazioni che doveva succedere per farsi spazio nel mondo del teatro.

Dopo aver dato voce a tanti personaggi in scena e aver vissuto tanto, rimane solo un'identità frammentaria che a volte viene diluita e confusa con altre voci del passato e del presente. In questo magistrale romanzo, il grande narratore di lettere portoghesi dispiega la moltitudine di storie che la vita di questa donna racchiude e le sovrappone con libera impudenza, mentre tesse un'infinità di fili tra personaggi, tempi e voci diverse che, grazie a un impressionante virtuosismo, compongono un amalgama composto di memoria e tempo che inesorabilmente avanza.

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