Spazi di libertà, di Juan Pablo Fusi Aizpurúa

Spazi di libertà
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C'è stato un tempo in cui l'arte e la cultura si muovevano secondo i dettami dell'autorità. Un vero oltraggio all'altezza di molti altri commessi dal regime franchista. Il controllo di ogni espressione popolare faceva parte di quel dominio sulla coscienza del popolo di questo paese.

Non è necessario fare un viaggio nel Medioevo per imbattersi in una realtà come questa, uno stile di vita censurato nella sua trama creativa, come ha ben narrato Salvador Compan nel suo romanzo Oggi è brutto ma domani è mio. Si parte dagli anni successivi alla vittoria del regime franchista, stato totalitario sostenuto dalla Chiesa per inserire nell'immaginario popolare un'ideologia appesantita da propaganda e sottomissione.

Ma arrivarono gli anni Sessanta e le differenze con un'Europa che già decollava in termini di diritti sociali e individuali cominciarono a risvegliare illusioni e resistenze. L'arte, mai così necessariamente compromessa, ha cercato i suoi canali per rivelare al mondo una verità taciuta.

E grazie alla collusione di artisti di ogni genere, la Spagna ha aspettato accovacciata per tuffarsi nella vita e nel colore non appena la situazione è cambiata a causa della spinta del resto del continente. La cultura aveva molto lavoro davanti a sé per liberare la gente di questo paese dall'oscurità alla luce, dall'orrore alla democrazia (quando questa parola aveva ancora un senso)

Il cambio di mentalità stava cucinando dall'interno, tra ambienti culturali che entravano in contatto clandestinamente, che cospiravano per sconfiggere il male, che favorivano l'assalto al potere, il silenzio delle armi, il ritorno degli espatriati e il risarcimento delle vittime (in quest'ultimo si girano ancora...)

Un libro interessante per capire come e dove si è forgiato il vero passaggio, quello che muove dalla base, quello che costringe i politici a trovare accordi, quello che costringe i re a riconoscere quella specie di corona condivisa che era la monarchia parlamentare)

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