Permafrost, di Eva Baltasar

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La fine del vivere. L'intenso bisogno di vita a volte porta all'estremo, al contrario. Si tratta di quel peculiare magnetismo dei poli che alla fine sembrano essere la stessa cosa separata nella sua origine. Una cosa, un'essenza, un qualcosa che insiste e insistentemente esige il ricongiungimento dell'intera gamma della vita che la sua esistenza dicotomica potrebbe spiegare con estatica lucidità.

La voce in prima persona di un'Eva Baltasar fusa con successo in mille poesie, dona più intensità se possibile alla protagonista della sua storia. Una di quelle persone che cova la speranza, forse senza volerlo affatto, di sintonizzarsi con ragione e verità, in quell'abisso tra le impressioni soggettive che spingono la felicità e un mondo possibile oggettivamente condotto verso la più abissale insoddisfazione di tutti noi, viaggiatori di una sola vita, come ho sottolineato Milan Kundera in L'insostenibile leggerezza dell'essere.

Solo che la protagonista di questo romanzo non è disposta a soccombere a quel freddo del vivere e, vestita di quel permafrost di cui è ricoperto anche il più inospitale del nostro pianeta, si lancia nell'edonismo ancora più aperto della donna a cui si rivolge è ancora ritenuto responsabile di come governa il suo corpo.

La vita è così banale che non vale la pena soffermarsi su preoccupazioni mondane come quelle che vengono sommerse dal ghiaccio dalla tua famiglia o dai tuoi amici. La cosa più importante è, sotto l'influenza che nulla vale, approfittare almeno dei momenti con quella rabbiosa autenticità che segna solo le pulsioni liberate dai loro dolorosi stigmi sociali e morali.

Il polo opposto c'è sempre. Le pulsioni profonde comprendono anche la rassegnazione, la resa, lo sfinimento anche per intraprendere un nuovo passo, il suicidio come quell'ultima avventura di fronte all'essere stufi di tanta banalità.

Un romanzo agile in quella marcia frenetica verso il vuoto del protagonista. Una storia oltre che spigoli e travagli da cui emerge anche quell'umorismo nero tipico di chi è tornato da tutto. Un libro di estrema lucidità, con una prospettiva del nostro mondo ghiacciata come la pelle del protagonista.

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