I 3 migliori libri di Andrés Pascual

Essere un romanziere di gialli, il Riojan Andres Pascual Ne approfitta in molte occasioni per decorare le sue trame con gli scenari più svariati, arricchiti da quella conoscenza che concede al viaggiatore, e più allo scrittore viaggiatore desideroso di trovare quelle sfumature arricchenti di qualsiasi trama, il viaggio attraverso diverse parti del mondo. Nascerebbero così "Il guardiano del fiore di loto" o "L'haiku delle parole perdute", due dei suoi romanzi più acclamati.

Ma la cospicua bibliografia di questo autore si immerge anche nel genere storico, nel fiorente noir spagnolo o addirittura in quel genere di saggio che confina con l'autoaiuto dall'esperienza di vita come viaggio verso la conoscenza di sé.

Quindi, indirizzo qualsiasi libro di Andrés Pascual Suppone sempre un'avventura sorprendente verso finzioni cariche di tensione narrativa, avventura e approccio all'arricchimento di culture e luoghi in ogni modo, verso aspetti praticamente informativi introdotti con quel saper fare che diverte e sorprende.

I 3 migliori libri consigliati Andrés Pascual

Il custode del fiore di loto

Un romanzo che si rivela come la migliore manifestazione della grande virtù dell'autore. Non è affatto facile raggiungere l'equilibrio tra l'informativo e la trama, tra lo sfondo e la forma come l'equilibrio fondamentale di qualsiasi romanzo.

A maggior ragione in una storia costellata di misticismo tibetano in contrasto con un'azione occidentale alla ricerca di risposte trascendentali nascoste, sepolte dagli interessi pragmatici del capitalismo.

In molte occasioni abbiamo sentito parlare del conflitto etico che presuppone lo sviluppo della medicina e della farmaceutica per estensione, con la loro natura privata carica di investimenti in ricerca e, perché non dirlo, anche competitività commerciale.

Ciò che non può essere è che all'improvviso venga annunciata una panacea medica alla quale non partecipa nessuna industria ufficiale. Il Lama Lobsang Singay vuole essere una nuova vittima di questi interessi.

Così, quando prepara la sua conferenza ad Harvard per parlare di una grande scoperta, il lama finisce per morire. Naturalmente, le coincidenze non esistono quando si tratta di circostanze così clamorose.

La cosa normale in questi casi è rivedere il lato sinistro della questione, risvegliare teorie su quegli stessi interessi in azione. Solo chi si sente completamente perso può intraprendere la pericolosa avventura di scoprire cosa c'è dietro gli eventi. Gli indizi puntano a un'origine remota tra le vette silenziose e ghiacciate dell'Himalaya. Lì, tagliati fuori dal mondo, gli sciamani tibetani avrebbero potuto scrivere un vademecum nascosto di medicina universale, tra l'esoterico e il naturale.

Il viaggio di Jacobo, la sua esposizione a tutti i pericoli che lo minacceranno lungo la strada, finisce per comporre la doppia trama della storia. La ricerca si svolge e l'incontro finale di Jacobo con se stesso potrebbe anche indicare il luogo segreto in cui era nascosto il tanto atteso Trattato.

Il custode del fiore di loto

L'haiku delle parole perdute

Fat Man, la bomba nucleare caduta su Nagasaki il 9 agosto 1945 come vendetta posticipata per l'attacco a Pearl Harbor diventa il drammatico punto di partenza per un complotto due volte.

Il passaggio da quel giorno fatidico al presente serve alla causa di un percorso parallelo tra quelle questioni in sospeso che il passato lascia sempre in bianco quando il tragico interviene con la sua intensità di irreversibile.

Guardiamo poi a una di quelle intrastorie tanto belle quanto finalmente oscurate dalla polvere nucleare. Kazuo e Junko erano due giovani con un grande futuro da condividere tra amori furtivi e promesse tra i versi belli e trascendentali di un haiku.

La sua storia, sinistramente trasformata nel 1945, si fa strada attraverso frammenti di un presente che finisce per servire la causa della ricomposizione, dell'impossibile sostituzione piena di eco e vendetta, quelle di un futuro che sarebbe dovuto essere.

La storia nel 2011 del futuro di Emilian Zäch, un lavoratore delle Nazioni Unite, sembra molto lontana dalla narrativa originale. Eppure i legami finiscono per diventare così stretti che finiscono per incrociarsi con quella nostalgia per l'impossibile e quel bagliore speranzoso della verità.

L'haiku delle parole perdute

Alla mercé di un dio selvaggio

Questa volta, per il libro Alla mercé di un dio selvaggio, Andrés Pascual torna a casa per sondare quel genere nero con tocchi di suspense, come a Vincitore dell'Albero tra i vigneti riojani.

Quando si visita San Vicente de la Sonsierra e si assiste alle sue processioni di autoflagellazione, si riprende quell'impressione atavica di una religione trasmessa come castigo, pentimento, sacrificio e dolore.

Niente di meglio di quel tocco ancestrale per Andrés Pascual per inserire in quell'immaginario un romanzo che scava nelle tenebre del passato sepolto, dei sensi di colpa e dei silenzi...

Quando Hugo e suo figlio Raúl, un ragazzino di undici anni con problemi di salute, tornano in città per elaborare la riscossione di un'eredità, non riescono a immaginare la sinistra avventura in cui stanno per intraprendere.

Raúl è l'immagine sputata di suo zio, ricordato sotto quella stessa immagine d'infanzia, quando il pover'uomo ha finito per affrontare il suo tragico destino. La scomparsa del ragazzino, vent'anni fa, non si è del tutto allontanata dalla memoria popolare.

La stranezza della materia sembra sprofondare nel tellurico, come se la terra avesse inghiottito il giovane tanti anni fa. L'aspetto di Raúl, suo nipote, dai lineamenti praticamente tracciati, è ipotizzato come un oscuro presagio che fa tornare molti abitanti della cittadina al fatidico momento in cui lo zio è scomparso per sempre.

Le coincidenze fisiche non fanno che entrare nella forza di un destino tenebroso, tenebroso, una sorta di forza centripeta verso la paura che finisce per muovere una trama che è diventata via via uno sconcertante thriller.

Alla mercé di un dio selvaggio
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