La mappa dei vestiti che amavo, di Elvira Seminara

La mappa dei vestiti che amavo
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Le cose materiali possono raggiungere, a un certo punto, il significato del ricordo più vivido. La malinconia, il desiderio o l'amore possono impregnare del loro profumo quegli indumenti che occupavano i corpi che non ci sono più.

E questo avviene in modo molto diverso per ogni persona. Per Eleonora, molti dei suoi indumenti, tenuti al sicuro dalla naftalina, costituiscono un passato ricoperto di sensi di colpa e delusioni. Molte di queste camicette, gonne o abiti occupano gli armadi di un appartamento di Firenze, dove Eleonora ha trascorso gran parte della sua esistenza.

Ora è sua figlia, Corinne, che vive in Italia, cercando in parte la distanza fisica ed emotiva dalla madre. I loro segreti, i loro debiti pendenti e le loro colpe reciproche nascondono la via della riconciliazione.

Ma una madre non si arrende mai alla perdita di una figlia. Per giustificarsi, i suoi abiti fiorentini diventano trasmettitori della sua verità, delle pulsioni vitali che l'hanno condotta di sconfitta in sconfitta.

Per Corinne, capire che sua madre Eleonora è così com'è e che era così com'era è un abisso emotivo e razionale. La disparità dei caratteri rende impossibile questa empatia, sempre più difficile tra chi è unito dalla familiarità.

La comprensione può forse arrivare. Ad un certo punto, tra le vecchie vesti del passato di sua madre, forse Corinne può trovare un messaggio positivo, un vero amore nel modo in cui sua madre poteva e può amare.

Alla fine, questo rapporto unico, completamente pieno di spigoli, diventa molto nostro. L'amore è complesso, l'idea di famiglia suppone sempre, ad un certo punto, una rottura necessaria dove amore e libertà individuale sono difficilmente bilanciati.

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